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baccello, Complotto, Donald Sutherland, Doppio, Edvard Munch, Jeff Goldblum, John Carpenter, L'invasione degli ultracorpi, L'urlo, La cosa, Leonard Nimoy, Perturbante, Philip Kaufman, Pornografia, Psichiatra, Spock, Terrore dallo spazio profondo, The thing
Dopo l’introduzione teorica al concetto di perturbante e “uncanny valley”, il primo post dedicato a Ridley Scott (e le sue opere “Blade Runner” e “Alien”), il secondo post dedicato a “La cosa” di John Carpenter, continuiamo il nostro viaggio con una tappa fondamentale.
Terrore dallo spazio profondo (Philip Kaufman, 1978) – Il doppio o l’urlo dell’inumano
Il cinema è pervaso dalla tematica del doppio fin dalla sue più lontane origini. Gli elementi filmici che lo compongono sono spesso copie l’uno dell’altro, o meglio “doppi” cinematografici che ne riproducono forme e contenuti riattualizzandoli. Ciò è evidente nei casi di remake, sequel e prequel. Esempio ne è il già visto “La cosa” di John Carpenter (1982), geniale remake del notevole “La cosa da un altro mondo” di Christian Nyby (1951), a sua volta trasposizione cinematografica del racconto breve “Chi va là?” di John W. Campbell. Recentemente è stato girato un prequel del film del 1982, “The thing” di Matthijs van Heijningen Jr. (2011), che raggiunge purtroppo solo la sufficienza per la mancanza di vera innovazione nelle tematiche trattate. In ogni caso è interessante considerare che la suddetta serialità sembra riprodurre metaforicamente il ciclo virale di repliche ed imitazioni che è poi la suggestione principale evocata dai film suddetti. Insomma, il contagio muove dal piano umano ad un livello che potremmo definire cinematografico/produttivo: se nel recente passato ciò implicava una riattualizzazione del modello originario rinnovandone gli spunti ed i simboli (è il caso del remake “La cosa” di Carpenter), oggi purtroppo l’unico esito è un superficiale richiamo ai fasti dell’originale in un’ottica di pura operazione commerciale, in assenza di nuovi stimoli ed idee (si veda “The thing” del 2011).
Discorso analogo, con giudizio sull’operazione invero più favorevole, può essere fatto con riferimento alla serie dedicata all’invasione degli “ultracorpi”. Dal romanzo “L’invasione degli ultracorpi” di Jack Finney (1955) fu tratto il seminale ed omonimo film di Don Siegel (1956). Caso unico in fatto di originalità è “Terrore dallo spazio profondo” di Philip Kaufman (1978), a metà fra remake e sequel del suddetto, al quale segue il più recente “Ultracorpi: l’invasione continua” di Abel Ferrara (1993), anch’esso piuttosto unico nel genere. Davvero trascurabile è invece il remake “Invasion” di Oliver Hirschbiegel (2007), opera che involontariamente incarna alla perfezione il concetto di baccello come metafora della superficialità (riproduzione vegetale e senz’anima di un essere organico).
Parleremo del film “Terrore dallo spazio profondo” per la sua rappresentatività e ricchezza figurativa nel campo del perturbante.